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alla massima velocità, per convincerlo ad invertire il senso di
marcia della sua vita”. O l’arresto del brigatista Bernardo Pasinelli
“sentivo e capivo il suo tarlo interiore e così mi adoperai per farlo
uscire dall’oscurità” anche perché “forse sperava che io gli sparassi,
ma i conti non si regolano così”. È tempo di cambiare ancora
passo. Il giovane ventiquattrenne Marco Mancini si gode qualche
giorno di ferie nella sua Romagna e un giorno rivede il padre spi-
rituale della gioventù, don Isidoro. “Tu sei adatto per fare l’agente
segreto, ti voglio far conoscere una persona”. Vanno a Roma, rice-
vuti dal direttore del SISMI (Servizi Segreti Militari) Giuseppe
Lugaresi. Marco Mancini viene arruolato seduta stante e im-
boccherà la strada principale della sua missione di vita. Seguono
spedizioni nei fronti caldi del mondo, dalla Libia all’Afghanistan,
come Iraq, Libano con una sequenza di immagini, fatte rivivere
in diretta, attraverso le pagine di un libro che coinvolge con origi-
nale empatia narrativa. Due esempi a scorrimento veloce. Beirut,
Libano. “Abbiamo evitato l’11 settembre al nostro paese”. Il capo
di Al Qaida locale aveva ammassato quattrocento chili di esplosi-
vo per far saltare la locale ambasciata italiana. Pedinamenti seriali,
sempre nell’ombra. Ne hanno conferma dell’identità sottraendo
ad un caffè locale, fronte ambasciata, la tazza entro la quale sor-
seggiava apparentemente assorto altrove il solito the. Dalle im-
pronte digitali la conferma che era lui il dannato. Questo perché,
in Libano, quando si va a votare non si presenta il documento
d’identità, ma si deve rilasciare la tua impronta direttamente dai
polpastrelli. Baghdad. Hanno sequestrato degli italiani. Mancini
e i suoi hanno informatori presso una moschea locale. Un giorno
non c’è la solita faccia barbuta, ma altre. Il nostro 007 viene
sbattuto per terra, undici baionette puntate sulla tempia. Fingen-
dosi prostatico seriale, con tre spedizioni nella fatiscente toilette
di servizio, si sgranocchia la scheda telefonica, seppellendo così
i nomi della sua rete di informatori locali nella conseguente
peristalsi digestiva. Lui, alla fine, viene liberato. Questi solo alcuni
esempi di quella strategia del controspionaggio offensivo che è
un po’ il piccolo capolavoro di Marco Mancini e i suoi compa-
gni di missione. “È stato, per molti anni, il primato dei nostri
servizi segreti all’estero”. “Bisogna prevenire i guai prima, invece
di arrivare dopo a constatare i danni”. Questo grazie ad un’opera
di reclutamento di “sentinelle” cui bisognava anche assicurare, in
caso di emergenza, adeguata protezione. Questo e molto altro
in una serata che ha coinvolto un uditorio più attento che mai
grazie anche ad una spontanea empatia del nostro “tortellino”,
romagnolo genere natu, che ha saputo narrare con straordinaria
umanità fatti ed episodi da lui vissuti in maniera diretta, spesso a
rischio della pelle.
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