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uccide la propria compagna, magari unitamente ai figli, si par-
la di tragedia famigliare, di momento di sconforto, di eccesso
di amore. Non viene messa a tema la debolezza dell’uomo,
che non riesce a pensarsi differentemente dalla dimensione
del dominio. Perché la violenza contro le donne è indice della
loro forza nel non piegarsi al sopruso e porta in primo piano
il loro legittimo desiderio di libertà.
La violenza quotidiana
Vi sono comportamenti molesti a connotazione sessuale facilmen-
te individuabili, che vanno dal contatto apparentemente affettuoso,
ma non gradito, alle violenze vere e proprie, e altri meno evidenti,
ma non meno intollerabili come le proposte non desiderate, gli
inviti pressanti, l’idea di incontro al di fuori del luogo di lavoro, le
galanterie sgradite, le frasi ambigue, le oscenità. Vi si aggiungono i
comportamenti non verbali fatti di sguardi insistenti.
Ci sono inoltre le condotte denigratorie, i motteggi, le valu-
tazioni esteriori, di apprezzamento ma anche di denigrazione,
legati all’aspetto fisico o al modo di vestire. Questa svalutazio-
ne constante è amplificata da televisione e social media.
Il sessismo ordinario mortifica i soggetti deboli, facendoli
sentire inadeguati e inferiori. Per superare questo gap quoti-
diano, presente anche nei luoghi di lavoro, serve un quotidia-
no impegno da parte delle vittime, che alla lunga non riesco-
no a sostenere e finiscono col soccombere.
A tutto ciò si aggiungono i comportamenti capaci di distruggere la
vita ordinaria quali la diffusione di foto e video privati o offensivi
(revenge porno), gli atti persecutori come le molestie e lo stalking.
Uomini nuovi
Si parla sempre di donne, in quanto vittime delle diverse for-
me di violenza, ma di fatto si rimuove la questione vera: sono
gli uomini gli artefici della violenza. Certo subiscono i condi-
zionamenti sociali, hanno introiettato una cultura arcaica di
cui non hanno consapevolezza… resta il fatto che il cambia-
mento oggi dipende da loro.
Di fronte all’immane tragedia della perdita della figlia, papà
Gino Cecchettin ha provato a dare un senso al proprio dolore
trasformandolo in opportunità educativa. Ha chiamato in causa
la sua identità di genere, forse anche per liberarsi dall’immane
responsabilità di non aver fatto abbastanza per proteggere la
propria figlia, indicando una strada possibile: l’azione educativa.
Non saranno le leggi e i provvedimenti straordinari a scon-
figgere il sessismo e la violenza di genere, ma un impegno
ordinario, sul piano formativo, educativo, nei media e nella
pubblicità. Ciascuno è chiamato a fare la sua parte. Il Rotary
ha già inizato a fare la sua.
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