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compri, approvi, ci stimi, ci ami, obbedisca, esegua, smetta, cambi,
                                                venda… tanto nelle relazioni private quanto in quelle profes-
                                                sionali. Quante volte abbiamo chiaro a noi stessi cosa vogliamo
                                                ottenere veramente? E ammesso che lo sappiamo, quante volte
                                                restiamo fedeli all’obiettivo? Troppe volte, nella mia vita pro-
                                                fessionale, ho visto le “agende private” delle persone prendere il
                                                sopravvento su quelle razionali e pianificate. Grandi manager
                                                che, per il timore di apparire impreparati o per l’ambizione di
                                                essere riconosciuti come grandi comunicatori, parlano di tutto
                                                quello che il giornalista chiede, tralasciando proprio quello che
                                                volevano che scrivesse. Ma anche genitori, vicini di casa, compa-
                                                gni di squadra, colleghi, che lasciano che i sentimenti più vari di
                                                paura, illusione, desiderio, rabbia, delusione, ammirazione, gelosia
                                                … guidino la loro comunicazione. E inevitabilmente - soprattut-
                                                to ricordando che siamo tutti più sensibili agli atteggiamenti che
                                                alla semantica delle parole - la discussione si sposterà da quello
                                                che volevamo - vendere, approvare, far studiare, trovare una so-
                                                luzione … - ad un confronto relazionale su tutt’altro piano e con
                                                tutt’altre conclusioni. Deve essere assolutamente chiaro che non
                                                sto proponendo una comunicazione fredda, cinica, impersonale,
                                                o ancor peggio opportunista. Dico che nello studiare il percorso
                                                comunicativo per avvicinare le posizioni - che sia approvare un
                                                piano regolatore o semplicemente dove andare in vacanza - biso-
                                                gna riconoscere gli elementi emotivi, rispettarli, gestirli in maniera
                                                più o meno palese, eventualmente farli diventare contenuto della
                                                comunicazione, vietandogli di essere inquinanti, occulti e dan-
                                                nosi. È fondamentale tenerli distinti, o meglio integrarli con gli
                                                aspetti più pragmatici, razionali, professionali. Tutto questo spiega
                                                perché il terzo aspetto, quello appunto del decidere un percorso
                                                comunicativo, non è privo di insidie. Pensare con attenzione a
                                                quali argomentazioni, quali dati, quali terze parti, su quali aspetti
                                                fare leva, dare una logica consequenziale ai vari passaggi è un
                                                po’ come cucinare un buon piatto: deve essere tutto giusto, la
                                                ricetta, le materie prime, l’ordine e i tempi di esecuzione. Prima
                                                di chiudere, mi fa piacere citare Cicerone che già evidenziava la
                                                necessità di unire aspetti razionali oggettivi (Docere) con aspetti
                                                graditi al pubblico (Delectare) per trascinarlo all’azione deside-
                                                rata (Flectere). Comunque, se qualcuno avrà la benevolenza di
                                                adottare questo modo di considerare la comunicazione, spero ne
                                                trarrà beneficio, ovviamente adattandolo a sé e alle circostanze
                                                a vantaggio di quella spontaneità che è indispensabile per essere
                                                credibili in qualsiasi comunicazione. “La comunicazione - come dice
                                                Henry Bergson – avviene quando, oltre al messaggio, passa anche
                                                un supplemento di anima” e l’anima - aggiungo io – non segue metodi,
                                                salvo quelli che decide di far propri.

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